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UNA CONFUSIONE CONFUCIANA
(DULI SHIDAI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 maggio 1994
 
di Edward Yang (Taiwan, 1994)
 
Come conciliare secoli di cultura e di vita sociale radicati nei valori tradizionali del confucianesimo con la crescita economica vertiginosa (e con il fatto che diventa sempre più difficile riferirsi ai valori occidentali)? L'interrogativo se lo è posto - tra gli altri - il taiwanese Edward Yang che, a partire da A SUMMER BRIGHTER DAY è considerato una delle voci particolari (quella che si dedica alle storie "contemporanee") di una cinematografia sempre più influente.

Yang sostiene di essere partigiano di un cinema che mira più ai contenuti, alle storie, che alle forme. Si sa poi come vanno queste cose: che lo si voglia o meno è poi sempre la forma (il "modo" secondo il quale uno racconta) ad influenzare - fino ad esserlo in maniera determinante - ciò che si racconta...Questo CONFUSIONE CONFUCIANA ne è la riprova: perché se dovessimo guardare esclusivamente alla storia (e pur tenendo conto che le differenze culturali e linguistiche ci impediscono di cogliere esattamente le sfumature: ad esempio, quella di sapere se la recitazione tipata di un attore, oppure l'esposizione caricaturale di una situazione è voluta, oppure semplicemente sbagliata) saremme dalle parti di DALLAS. In tutta una serie di uffici high-tech, appartamenti design, fra telefonini, computer e decappottabili di lusso si muovono i personaggi rampanti del film: la donna-manager finanziata dal playboy benestante, il regista d'avanguardia piuttosto dello scrittore mishimeggiante... Mentre in quelli più modesti (appartamentini borghesi, ristoranti fast-food ed autobus mattutini al posto del taxi) quelli parcheggiati in attesa d'escalation.

Ma è in definitiva quella forma tanto disdegnata dal regista a rivalutare gli interessi del film. Apparentemente anonima, - come quella Taipei che fa da sfondo, con la sua circolazione infernale, l'architettura convenzionalmente "moderna", gli aspetti più facili dell'occidentalismo d'importazione - essa finisce per costituire una tela di fondo, una sorta di scacchiera esistenziale: grigia, uniforme, angosciosa nella sua indifferenza. Ma sulla quale le relazioni sentimentali, economiche, psicologiche dei personaggi finiscono per organizzarsi con significato crescente. Affiora il piacere della finzione, quella d'incrociare delle storie, dei destini apparentemente banali: ma di tutti. Le regole del melodramma, nelle quali irrompono le esigenze del modo di vivere cosiddetto moderno: affiorano allora le contraddizioni, le esaltazioni come le interrogazioni di un mondo, di una cultura secolare costretta a rigenerarsi (per non auto-distruggersi) nell'arco di poche generazioni.


   Il film in Internet (Google)

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